Libero Cerrito


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Jeremy Rifkin

I Paesi industrializzati stanno andando verso uno spartiacque entropico. Dopo quattrocento anni il mondo si sta allontanando da quella base di risorse non rinnovabili che ha alimentato tutta l’era industriale con un massiccio flusso di energia solare immagazzinata. Nelle epoche che si sono susseguite lungo questo continuo fluire di energia, si è accresciuto il disordine e tutte le strutture, tecnologiche e politiche, sono diventate più complesse, più accentrate, più specializzate e più suscettibili di danni irreparabili. Non è necessario essere un economista per capire il processo; dato che tutti sopravvivono convertendo, scambiando ed eliminando energia, noi stessi dobbiamo poi sopportare in prima persona i violenti cambiamenti di rotta dei flussi energetici via via che la società si avvicina sempre più allo spartiacque entropico. Non vi è nulla che metta bene in evidenza questo processo quanto il dover far fronte ai danni devastanti dell’inflazione. L’inflazione è direttamente collegata all’esaurimento delle risorse non rinnovabili, infatti diventa sempre più costoso estrarre energia da fonti sempre meno sfruttabili e i costi associati ai processi di conversione, scambio ed eliminazione continua a crescere lungo tutta la linea. Salgono i prezzi sia per il produttore sia per il consumatore e in più il disordine accumulato in passato aggiunge altri costi economici, sociali e politici contribuendo ulteriormente ad aumentare i prezzi alla produzione e al consumo. L’inflazione sale a spirale quando il contesto energetico si avvia all’esaurimento e il motivo è semplice: ci vuole sempre più denaro per pagare le complesse e costose tecnologie necessarie a sfruttare le residue fonti energetiche, e ancora denaro per pagare il controllo e la gestione dei multiformi aspetti del disordine che la dissipazione di energia ha creato in tutti i passaggi del processo. Mentre la spirale inflattiva indotta dalla crisi energetica degli anni Settanta era stata temporaneamente abbattuta negli anni Ottanta, già all’inizio degli anni Novanta molti economisti prevedevano un nuovo ciclo di inflazione quando la scarsità energetica avrebbe cominciato a farsi sentire, mentre i costi ambientali avrebbero continuato a crescere. Secondo Barry Commoner tutte le forme di energia da cui dipendiamo presentano lo stesso problema:

Poiché non sono rinnovabili richiedono sempre maggiori investimenti di capitale, diventano sempre più costose da produrre e sempre più care.

Commoner si basa su statistiche che dimostrano con evidenza inconfutabile quanto l’intero processo sia influenzato dalla legge dell’entropia. Per ogni dollaro investito in produzioni energetiche nel 1960, si producevano 76,8 chilowattora di energia, nel 1970, asserisce Commoner, ogni dollaro investito produceva soltanto 74 chilowattora, e solo tre anni più tardi, nel 1973, il valore era sceso a 62,9 chilowattora per dollaro investito. In appena quindici anni vi era stato un calo del 18% della produttività del capitale investito in produzione di energia. Dopo il 2020 le riserve petrolifere degli Stati Uniti saranno diventate così poco accessibili che si dovrà ricorrere ad altri tipi di combustibile per la maggior parte degli impieghi.  Meno disponibile è l’energia e più costa estrarla dall’ambiente, sempre maggiore risulterà quindi la quantità di denaro distolto dai normali circuiti per destinarlo a investimenti nell’industria energetica. All’inizio degli anni Novanta l’industria energetica prevedeva di dover trovare oltre 900 miliardi di dollari per finanziare le operazioni previste nell’arco di un decennio, dollari che comunque, le compagnie avrebbero dovuto trovare all’estero non avendo sufficienti risparmi per autofinanziarsi. Questo significa che una parte del denaro normalmente investito in altri settori economici avrebbe dovuto essere distolto per mantenere l’industria energetica. Nel dedicare sempre più denaro alla produzione di energia (cioè impianti e apparecchiature), ma anche le istituzioni diventano sempre più accentrate, complesse e potenti. Aziende strategiche come, Exxon- Mobil e Texaco sono così grandi, che venti di esse già contribuiscono a formare il 18% del prodotto nazionale lordo. Tenendo conto che una nuova raffineria di petrolio ha un costo di 500 milioni di dollari e una centrale nucleare costa da uno a due milioni di dollari. Solo gruppi industriali così grandi possono permettersi di restare in gioco per l’energia e investire nelle fonti di energia alternativa. E’ anche chiaro che l’energia è la base di tutte le attività economiche e quindi se i costi alla sorgente crescono, gli aumenti si trasmettono di passaggio in passaggio lungo tutta la linea di flusso. Tocca al consumatore finale pagare il conto in termini di inflazione. L’inflazione in definitiva è una misura del livello entropico dell’ambiente: più l’entropia dell’ambiente si avvicina a un massimo, più ogni cosa diventa costosa, a ogni passaggio, lungo tutta la linea di flusso. Come abbiamo visto i costi associati alla conversione di energia salgono via via che le fonti energetiche diventano più difficili da localizzare, estrarre e lavorare, e anche i costi dello scambio di energia tra istituzioni, settori economici, gruppi e individui, salgono in corrispondenza degli aumentati costi di estrazione e lavorazione. Abbiamo anche visto come il consumatore finale sia colpito dall’aumento dei costi perché si trova a dover pagare i prezzi più alti per i generi di prima necessità. Neppure i lavoratori dipendenti vengono risparmiati , perché se è vero che io salari aumentano col costo della vita, è anche vero che il potere d’acquisto non tiene mai il passo con i prezzi.
Neppure i lavoratori dipendenti vengono risparmiati, perché se è vero che i salari aumentano con il costo della vita, è anche vero che il potere d’acquisto non tiene mai il passo con i prezzi. Il meccanismo è il seguente: salgono i costi all’origine della linea di flusso, gli aumenti passano dall’uno all’altro potere economico, lungo la linea, dove, per compensare l’aumento dei costi, ciascuna organizzazione, dall’estrazione fino alla vendita al dettaglio, cerca di ridurre la voce salari per mantenere i profitti esistenti e il risultato è una diminuzione della paga reale e del potere d’acquisto. Nella realtà, un diminuito potere d’acquisto significa che i consumatori riescono sempre meno a far fronte a bisogni energetici: cibo, indumenti, cure mediche e tutto il resto. In altri termini il flusso energetico che corre attraverso il sistema umano comincia a indebolirsi man mano che l’energia (o il denaro) gli vengono sempre di più sottratti per mantenere organizzazioni economiche, macchine e impianti che governano il flusso stesso.
Mentre il cittadino, in quanto consumatore, deve sopportare l’aumento dei prezzi e, come lavoratore, la diminuzione del salario reale, come contribuente deve sopportare costi crescenti associati a sottoprodotti da eliminare e a tutte le altre aree di disordine che si generano lungo la linea di flusso. Il contribuente si trova a pagare i costi di bonifica e di eliminazione delle massicce quantità di rifiuti che il flusso energetico produce nel sistema. Il contribuente finisce per pagare anche per la quantità di disordine sociale ed economico che nasce dalle diramazioni del flusso energetico. Certi individui, gruppi o classi sociali si trovano ai margini dei processi di conversione e di scambio per il modo con cui il sistema distribuisce i ruoli e le ricompense. Se aumenta l’entropia dell’ambiente e di conseguenza aumentano i costi lungo tutta la linea, questi settori della popolazione sono i primi a risentire del cambio di rotta dell’economia e quando cresce il numero di persone delle classi povere che si trovano fuori della linea di flusso, il governo deve impegnarsi a tamponare le loro ristrettezze economiche in termini di assistenza e altre elargizioni. La disoccupazione, dopo tutto è l’altra faccia del processo entropico: più in fretta si esaurisce l’energia, più persone si trovano disoccupate o sottooccupate. Le istituzioni a tutti i livelli, locali e nazionale devono estendere il loro impegno in prima linea davanti alla crisi energetica. Le istituzioni governative continuano ad ingrossarsi perché devono fronteggiare e contenere i crescenti disordini sociali ed economici che spuntano lungo la linea e, come avviene per le  organizzazioni economiche, finiscono per usare sempre più denaro per il loro puro mantenimento, aumentando quindi il fardello di tasse e diminuendo il flusso energetico destinato ai consumi della gente. Il circolo vizioso di questo processo che toglie energia alle persone per dedicarla al mantenimento e alla crescita delle burocrazie, sia economiche che governative, aumenta di velocità finchè l’intero meccanismo sociale si schianta a capofitto contro uno spartiacque entropico. Dovrebbe essere chiaro a questo punto che le teorie economiche classiche non sono in grado di dare una soluzione alla crisi a cui vanno incontro le economie mondiali. Nelle analisi economiche, sia di matrice socialista che capitalista, non c’è posto per la legge dell’entropia, il secondo principio continua però a sovrastare tutte le attività economiche e a non riconoscere questa verità assoluta, riorientando di conseguenza la politica economica. In poche parole di abbreviare la via che porta il pianeta al disastro economico ed ecologico. Gli economisti di formazione capitalista continuano a guardare al sistema economico come a un processo meccanico in cui le funzioni della domanda e dell’offerta continuano a bilanciarsi l’una con l’altra, avanti e indietro come le oscillazioni di un pendolo.
Se la domanda dei consumatori per un qualsiasi bene o servizio è in crescita, i fornitori aumenteranno i prezzi per approfittare della situazione, ma quando poi i prezzi diventano troppo alti, la domanda rallenta o si sposta verso altri beni o servizi forzando i fornitori ad abbassare i prezzi fino al punto in cui la domanda si riaccende.. Nel corso degli anni sono stati apportasti molti perfezionamenti e modifiche alla teoria, ma il concetto base di un meccanismo di mercato della domanda e dell’offerta è rimasto il punto centrale di tutto il pensiero economico classico.
Pur rifiutando il meccanismo di mercato, gli economisti socialisti si trovano però d’accordo con i loro colleghi capitalisti nel considerare che l’ambiente delle risorse economiche nel suo insieme non si esaurirà mai e per quanto riguarda le questioni sulla reperibilità di nuove risorse, tutti quanti ipotizzano che le nuove tecnologie troveranno  il modo di localizzare e sfruttare risorse finora rimaste intatte. Le materie prime sono considerate inesauribili.
Entrambe le teorie capitalista e socialista affermano che l’attività economica trasforma i rifiuti in valore nuovo. Ricordiamo a questo proposito il credo di Locke secondo cui ogni cosa in natura deve considerarsi perduta finchè non le si applica lavoro umano per trasformarla in qualcosa che ha valore di consumo o di scambio nella società. Capovolgendo il primo e il secondo principio della termodinamica, l’economia moderna ha completamente travisato l’intera base di tutte le attività economiche. Ricordiamo che il primo principio stabilisce che la quantità totale di energia è fissa e non si può né creare né distruggere ma soltanto trasformare, il secondo principio stabilisce a sua volta che si può trasformare soltanto in una direzione: da disponibile a non più disponibile ovvero da utilizzabile a non più utilizzabile. Quando si preleva energia dall’ambiente per utilizzarla nei processi della società, a ogni passaggio una parte viene dissipata o esaurita finchè tutta quanta, compresa quella incorporata nei prodotti, finisce in una forma o nell’altra come rifiuto al termine della linea.

Relativamente all’impatto ambientale Rifkin sostiene che l’era industriale è caratterizzata da un flusso di materia ed energia che ha percorso tutto il sistema economico, crescendo in modo esponenziale. Abbiamo estratto materia ed energia, le abbiamo lavorate e poi, dopo averle sfruttate a fondo, le abbiamo eliminate; il tutto con velocità maggiore di quella con cui l’ecosistema terrestre fosse in grado di riciclare i rifiuti e ricostruire le riserve. L’accumulo di rifiuti inquinanti, sia come energia dissipata sia come materiale di scarto, organici e inorganici, stanno diventando una minaccia per l’abitabilità della Terra. Le statistiche fanno venire i brividi.
Vi sono le discariche che debordano di immondizia ma più tardi fu scoperta una nuova categoria di rifiuti, ancora più insidiosa: i rifiuti infetti, contenenti microrganismi patogeni e costituiti da parti anatomiche di corpi umani e animali, bendaggi insanguinati, attrezzi chirurgici, campioni di tessuti, aghi usati e guanti da chirurgo.
L’inquinamento da fitofarmaci costituisce un’altra seria minaccia all’ambiente e alla sanità pubblica e, in questo caso come per i rifiuti infetti, siamo davanti a un accumulo di entropia che può influire sul pianeta per generazioni.
I costi di un’eventuale bonifica da tutti i residui entropici dell’era industriale già oggi risulterebbero sbalorditivi.
Quando si farà il conto entropico finale dell’era industriale, è facile che i costi risultino più alti del ricavato dell’economia in questi ultimi secoli. L’era del progresso verrà allora etichettata a buon diritto dalle future generazioni di storici come l’era dell’illusione, e questo avverrà ogni volta che le leggi della termodinamica si presenteranno a riscuotere la tassa su una civiltà in cui il profitto ha messo in second’ordine la sostenibilità.

Rifkin sostiene la necessità di passare dalle energie non rinnovabili a quelle rinnovabili. Egli attualizza questo tema rispetto a Georgescu-Roegen.
La transizione verso le energie rinnovabili deve avere inizio il più presto possibile con lo sviluppo e la diffusione di tutte le tecnologie energetiche: solare, idrodinamica, geotermica ed eolica. Le future crisi petrolifere si presenteranno come una costante e il pianeta continua a surriscaldarsi a ogni litro di gasolio che viene bruciato: non vi è  altra scelta che rivolgere l’attenzione alle stategie energetiche alternative se si vuole evitare una apocalisse.
L’eliminazione delle emissioni di Co2, dei Cfc e degli altri gas serra dovrebbe arrestare la tendenza al riscaldamento globale, ma una inversione della tendenza si può ottenere solo piantando alberi. Sembra un paradosso che l’unica soluzione praticabile per risolvere la crisi dell’effetto serra sia la riforestazione del pianeta. Gli alberi assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera nel processo di fotosintesi, si calcola però che per arrestare i fenomeni dovuti all’effetto serra le piantagioni di alberi su tutta la Terra dovrebbero coprire almeno un’area equivalente alla superficie dell’Australia. Spetta ai governi lanciare una vasta campagna di riforestazione nei prossimi decenni, se vogliamo sperare di abbassare la febbre del pianeta e risanare la Terra. I Paesi industrializzati dovranno trovare la volontà di dare sussidi, e anche finanziamenti finalizzati, ai Paesi del Terzo Mondo per spingere i Programmi di riforestazione. Tra i climatologi e gli scienziati dell’ambiente si sta raggiungendo un consenso nel riconoscere uno stato di crisi in tutto il pianeta causato dalla tendenza al riscaldamento globale. Virtualmente tutti gli esperti che si interessano al problema concordano nel dire che la comunità mondiale deve ridurre la sua dipendenza dai combustibili fossili e mettere in atto da subito tecnologie energetiche alternative. Per la maggior parte sono favorevoli alle tecnologie dolci e all’energia solare, ma intanto cominciano a farsi sentire voci in favore di qualcosa come una nuova generazione di centrali nucleari sicure. Molti scienziati ambientali considerano l’espressione energia nucleare sicura come una intrinseca contraddizione.
Nel periodo di transizione verso un’era solare si renderà necessaria una completa riformulazione delle attività economiche a tutti i livelli della società: la struttura industriale esistente è completamente inadatta a un futuro solare. L’energia in forma concentrata, ricavata da fonti non rinnovabili, ha letteralmente dato forma all’economia odierna e, se volessimo conservare la struttura organizzativa esistente, dovremmo continuare a fondarla sull’attuale sistema di correnti energetiche ad alta densità. L’energia solare non è così concentrata come quella delle fonti non rinnovabili e quindi non è adatta allo stile di vita di una società industriale con fonti e punti di distribuzione accentrati.
Rifkin è sicuro che il futuro energetico del pianeta sarà dominato dall’energia solare. La questione è se si continuerà col vecchio habitus mentale e si tenterà di creare una base energetica solare ad alta tecnologia, con uso intensivo di tutte le risorse, accelerando con questo la degradazione del pianeta, o se invece sapremo creare una base energetica che a ogni passaggio, dalla sua messa in atto fino agli impieghi, cerchi di mantenere al minimo i flussi di energia e l’impiego di risorse.
L’era solare richiederà un adattamento degli stili di vita. Chi ha sposato la visione newtoniana del mondo e i ritmi dell’era industriale, giudicherà senza dubbio pessimistiche queste considerazioni sulle tecnologie solari e molti riterranno sicuramente inconcepibile che la vita delle nostre città, la produzione industriale e molte delle comodità che ci siamo dati siano incompatibili con l’era solare.
Ciononostante  un ecologista ed economista quale Georgescu-Roegen, sembra dimostrare che ignorare la realtà storica che ci sta davanti e mantenere false aspettattive è una pura follia che ci porterà ad una decadenza dell’umanità ancora più rapida di quella prospettata, e forse irreversibile.
La transizione sarà sicuramente costellata di sofferenze e sacrifici; è importante sapere che le sofferenze saranno ridotte al minimo se il passaggio da una base di risorse energetiche a un’altra nuova si compirà da subito in maniera dolce e ordinata, piuttosto che in ritardo, dopo avere alla fine esaurito ogni riserva di combustibile fossile e avere portato la Terra a un punto tale di surriscaldamento da rendere impossibile adattarvisi e vivere.

Non si sfugge alla legge dell’entropia. Rappresenta l’ordine massimo della fisica in ogni sfaccettatura della nostra esistenza. Sappiamo che tutto è energia e, poiché l’energia si muove a senso unico, scorre cioè dai livelli utilizzabili a quelli non utilizzabili, la legge dell’entropia delinea una struttura per tutte le attività umane.
La visione del mondo entropica mette in crisi le nostre idee correnti circa il nostro ambiente, la nostra cultura, il nostro stesso essere biologico. I fasti della cultura moderna, ovvero le grandi aree urbane, la nostra agricoltura meccanizzata, le nostre produzioni e i consumi di massa, le armi, l’istruzione  e le tecnologie mediche sono tutte cose che si stanno presentando sotto una nuova luce. La legge dell’entropia stronca la nostra concezione di progresso materiale, cambia gli orientamenti dell’economia, trasforma l’idea di tempo e di cultura e rimuove la tecnologia dal suo alone mistico.
In primo luogo vi saranno gli ottimisti. Costoro punteranno le loro speranze sull’ipotesi che da qualche parte spunterà la soluzione tecnologica che ci permetterà di andare avanti per la nostra strada. La loro fede saldamente radicata nei valori della società moderna e nei benefici del progresso li unirà nella convinzione che c’è sempre una via.
Gli ottimisti sono orientati a concentrare tutti gli sforzi per trovare nuove tecniche di sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Gli ottimisti pensano che, non solo siamo passati dall’età delle risorse rinnovabili a quella delle risorse rinnovabili, ma che di pari passo si va dall’età della fisica a quella della biologia molecolare. Costoro guardano alle incredibili possibilità aperte dalla scienza nel campo dell’ingegneria genetica negli ultimi anni e sono pronti a sostenere che nell’arco di pochi decenni la nostra tecnostruttura cederà il posto a un’altra, completamente nuova, in cui tutto il complesso degli strumenti tecnologici di trasformazione deriverà dall’applicazione di biotecnologie. Esattamente come l’applicazione delle scoperte della fisica è servita a trasformare una riserva energetica, le risorse non rinnovabili, in quel complesso di infrastrutture tecnologiche che è l’era industriale, così le applicazioni dell’ingegneria genetica trasformeranno un’altra base energetica, le risorse rinnovabili, in un sistema di vita completamente nuovo: l’era biotecnologica.
E’ interessante notare che proprio quando il sistema si prepara a spostarsi da una base energetica non rinnovabile a una rinnovabile e tende ad abbandonare la fisica applicata ai processi di trasformazione a favore della biologia molecolare, sta emergendo un nuovo paradigma scientifico che, nelle speranze degli ottimisti, fornirà le basi per una nuova visione del mondo nell’era genetica alla quale si stanno preparando. Il paradigma si chiama teoria delle strutture dissipative e il suo architetto indiscusso è Ilya Prigogine, il chimico fisico belga i cui lavori sulla termodinamica del non-equilibrio gli valsero il Premio Nobel per la Chimica nel 1977. Strutture dissipative sono tutti quei sistemi aperti che scambiano energia con l’ambiente circostante: tutti gli oggetti viventi, così come gli altri sistemi non viventi, sono strutture dissipative. Essi mantengono la loro struttura utilizzando un flusso di energia esterna che percorre continuamente il sistema. Prigogine sottolinea che più la struttura dissipativa è complessa, più è integrata e connessa con l’esterno e pertanto richiede più energia per mantenersi. Notando che un flusso di energia attraverso una struttura dissipativa produce delle oscillazioni, concludeva che quando le oscillazioni diventano troppo ampie perché il sistema possa assorbirle, il sistema stesso è obbligato a riorganizzarsi. Prigogine allora afferma che la riorganizzazione tende sempre a un livello più elevato di complessità, di integrazione e di connessione e quindi consuma più energia.
Ogni riorganizzazione successiva, essendo più complessa di quella precedente, è anche più sensibile alle oscillazioni e ai riassestamenti, quindi la complessità crea le condizioni per una progressiva riorganizzazione e accelerazione del processo evolutivo e del processo energetico. Prigogine dunque associa instabilità e flessibilità. Attraverso complicati passaggi matematici egli cerca di dimostrare che i sistemi più impegnativi sono anche i più pronti a modificarsi ed eventualmente a riadattarsi a circostanze nuove.
Non vi è dubbio che questa teoria contraddice il nostro senso comune del quotidiano, dove abbiamo esperienza di un mondo in cui la complessità restringe il nostro campo di scelte e crea situazioni rigide con tendenza all’infragilimento e al collasso. La teoria delle strutture dissipative sembra quindi un tentativo di fornire un paradigma di crescita per gli ambienti a energia rinnovabile, laddove la fisica newtoniana forniva il paradigma di crescita per un ambiente a energie non rinnovabili.
Infine vi potrebbe essere la risposta pragmatica. Non essendo un uomo di fede come l’ottimista, ed essendo molto meno grandioso nelle sue raffigurazioni, il pragmatico tenterà di mediare con la struttura esistente, sforzandosi di renderla almeno rispondente ad alcune delle implicazioni di una v