Libero Cerrito


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Prof. D’Amico
Libero Cerrito

La rappresentanza politica “di genere”: riflessione sui profili teorici e storici del tema.

In Italia abbiamo una situazione nella quale la presenza delle donne nelle istituzioni è scarsa.
I partiti potrebbero avere dei mezzi per aumentare la presenza delle donne; vi possono essere strumenti che attraverso norme diseguali producono l’eguaglianza.

Analizziamo la Costituzione: l’atr.3,2°comma prevede l’eguaglianza sostanziale che sancisce che non basta che lo stato tratti tutti in modo eguale ma se ci sono disparità di fatto che rendono la situazione di diseguaglianza, queste vanno rimosse.

Tra il 1° ed il 2° comma c’è una profonda contraddizione in termini di mezzi giuridici.

Si è detto che la rappresentanza politica non è una rappresentanza che può essere divisa secondo il genere. Si invocava al riguardo l’art.67 Cost.

Secondo molti questa argomentazione è vecchia perché all’origine la rappresentanza politica nasce come rappresentanza di uomini.

Sono intervenute la modifica dell’art.51 della Cost. e la legge costituzionale n.2 del 2001.

Il testo proposto dalla Prestigiacomo recita:” A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Las legge Cost. n.2, 2001 per le Regioni a statuto speciale sostiene:” Al fine di conseguire la rappresentanza dei sessi la legge elettorale regionale promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali.

Il nuovo art.117 comma 7°recita:”Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale culturale ed economica e promuovono la parità d’accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

Vediamo come la Corte costituzionale definisce le azioni positive. Per la Corte le azioni positive sono temporanee, derogano dall’art.3 1° comma Cost. e sono misure di realizzazione dell’art.3,2° comma. Esse sono strumenti discriminatori.

Nella sentenza n.422,1995 la Corte costituzionale sostiene che le leggi elettorali del 1993 sono in contrasto con gli art.3,1° commas,49 e 51,1° comma Cost.

Secondo la Corte sono i partiti politici che devono candidare cittadini e cittadine e non la legge imporre le candidature perché ciò è in contrasto con la Cost.

La Corte costituzionale può fare molto perché ha una grande discrezionalità nell’interpretare le norme.

La lacuna della Corte costituzionale è che in essa sono presenti solo giuristi.

Quando si analizzano in genere i fenomeni politici e di governo, riferendosi al problema delle pari opportunità tra uomini e donne, il problema della rappresentanza, in quanto problema stesso delle modalità in cui sono impostati i rapporti tra società civile e sistema politico, diventa assolutamente importante.

Quando si tratta di analizzare il problema della rappresentanza politica, gli indicatori empirici più significativi sono le elezioni.

Quando si parla di rappresentanza ed elezione nei sistemi di governo locale, nel quadro delle specificità storiche e culturali in Italia, occorre capire se e in che misura le scelte dei rappresentanti politici rispondano a logiche autonome oppure non rispondano piuttosto a logiche di “trascinamento” degli equilibri politici nazionali.

Alla richiesta di indicare come ha votato negli ultimi cinque anni, in occasione di consultazioni amministrative e politiche che si tenevano nello stesso giorno o comunque assai ravvicinate nel tempo, il 43% del campione dichiara di avere sempre votato per lo stesso partito, il 21% per partiti diversi ma comunque all’interno della stessa area politica, e il 33,2% per partiti o candidati anche di area diversa . Ciò significa, in definitiva, che esiste nell’elettorato maggiore consapevolezza rispetto al passato circa l’opportunità di tenere distinte le poste in gioco nelle diverse consultazioni in una situazione che propone una specie di campagna permanente, in cui si tende a smarrire le specificità relative alle competizioni differenti, ma nella quale comunque è molto forte il potere di influenza e di indirizzo dei partiti sulle scelte elettorali.

Certo, il fatto che il 43% dichiara di avere votato sempre per lo stesso partito, senza curarsi più di tanto della natura delle elezioni per cui si vota, significa che i legami di appartenenza sono ancora forti, ancorchè meno intrisi di contenuti ideologici. Ma che il 33,2% ha votato per partiti di area diversa e il 21%, pur votando per la stessa area politica, ha scelto partiti diversi significa che siamo in presenza di un elettorato meno vischioso che si abitua a ragionare in termini di opinioni politiche senza lasciarsi troppo condizionare dall’ipoteca del pan-politicismo.

E’ interessante notare che questo dato, che potremmo definire di “laicizzazione” e modernizzazione elettorale, riguardi complessivamente più gli uomini che le donne, e in genere le generazioni di mezzo, che per esigenze di vita sono anche quelle meno facilmente influenzabili da suggestioni ideologiche. Ma gli elementi esplicativi di maggiore linearità nell’escursione di questa variabile sono quelli che si traggono dall’incrocio con la collocazione politica. Da cui risulta inequivocabilmente che le posizioni di maggiore radicamento ideologico si trovano collocate agli estremi, di destra e di sinistra, dello schieramento politico ( rispettivamente al 50% e al 54%).

Mentre gli elettori di opinione si collocano, per la maggior parte, al centro (43,4%), come avviene normalmente nei sistemi bipolari. Siamo a uno dei punti nodali della nostra indagine: quanti hanno votato per le candidate donne nelle ultime comunali? Le risposte segnano apparentemente il trionfo del “politicamente corretto”. Hanno scelto di votare candidature femminili il 38,7% del campione.

Chi non l’ha fatto è perché non ha trovato nella scheda alcuna donna candidato (34,3%). E fanno più del 70%. Il restante 30% si divide fra chi, comunque, non era convinto della giustezza di una scelta che privilegiasse il sesso debole solo perché debole, ovvero senza altra attrattiva politica (18%) e chi è dichiaratamente vittima di un pregiudizio negativo nei confronti delle donne in politica (4,2%).

Ecco un caso in cui rileva fortemente il fatto di essere donna e di trovarsi a votare in una città in cui è risultata vincitrice una donna nelle elezioni a sindaco: le due circostanze, la prima per naturale solidarietà a “di genere” (40%), la seconda per comprensibili effetti di contagio positivo della candidatura a sindaco sulle altre candidature (consiliari) femminili (47%), hanno l’effetto di spronare ancora di più a orientarsi in questo senso. Gli atteggiamenti “maschilisti”, quando ci sono, si apprezzano in maggiore misura fra i giovani e gli anziani, nel centro-destra piuttosto che nel centro-sinistra. Ma si tratta, in verità, di scarti minimi.

Da ultimo, le pari opportunità nella politica locale ci sono o non ci sono? I giudizi in proposito sono molto articolati. Il 21% del campione ritiene che sia un obiettivo ormai conseguito; e per il 13,2% è un problema senza più senso storico (perché risolto o perchè improponibile).

La maggior parte degli intervistati (complessivamente quasi il 70%) la pensa invece diversamente:per metà ritiene che, se è vero che si è incominciato a fare qualcosa in questo senso, molto resta ancora da fare (32,4%); e per metà crede di individuare nel mancato appoggio dei partiti le cause del relativo fallimento delle pari opportunità delle donne nell’attività politica (33,2%).

Questo essendo il quadro generale, è chiaro che la componente femminile del campione carichi con più intensità queste due opinioni ( rispondendo rispettivamente per il 36% e per il 37%). L’accusa ai partiti proviene prevalentemente dalle posizioni di sinistra (40%), mentre a destra e a centro-destra si pensa che siamo comunque sulla buona strada.

Di fatto, il dibattito su questo aspetto delicato dei diritti di cittadinanza è ancora aperto fra chi sostiene la necessità che l’uguagliamento delle chances delle donne in politica debba avvenire senza scorciatoie o espedienti equitativi, come ad esempio le quote prefissate nelle candidature e negli organi di governo, e fra coloro che invece sostengono la necessità di applicare queste misure artificiali di perequazione senza le quali ogni discorso sulle pari opportunità rischia di rimanere astratto o peggio retorico.

La tesi del “riequilibrio ponderato” delle candidature femminili è quella che sii sottopone al giudizio del campione. Il quale reagisce così: per il 38,9% dei casi è una questione di democrazia; per il 29,5% è segno di modernizzazione della politica; per il 20% è un’occasione importante di ricambio della classe politica; mentre è negativo il giudizio opposto da più dell’11%, per cui si tratta di un dato assolutamente irrilevante o di un elemento di disturbo della competizione democratica.

Queste opinioni non cambiano quasi per niente nelle diverse zone di stratificazione territoriale del campione, ma naturalmente sono ancora più enfatizzate nelle loro valenze positive dalla parte femminile del campione e dalle classi di età fuori dal sistema produttivo ( i più giovani e i più anziani), probabilmente perché sono quelle in cui agiscono con meno pressanza gli elementi di competizione fra uomini e donne, nonché i tentativi di discriminare in qualche modo queste ultime nei ruoli di comando della società.

Strettamente legato al tema della rappresentanza è quello della partecipazione politica. Leggerne la versione al femminile e nei contesti locali non cambia molto rispetto ai consueti scenari di crisi che la partecipazione politica si trova ad affrontare nel paese ed anche al di fuori nel mondo occidentale.

Primo indicatore specifico e tradizionale: l’iscrizione ai partiti politici.

Risultato generale: l’80,2% del campione non partecipa in alcun modo all’attività dei partiti, e tanto meno vi si iscrive.

Le altre modalità di risposta praticamente scompaiono di fronte alla schiacciante eloquenza di questo dato. Meno propensi a questo genere di coinvolgimento sono le donne  (83,2% contro il 76,4% degli uomini), i giovani dai 18 ai 29 annui (88,8%). Dal punto di vista della collocazione politica, rifiutano la partecipazione  ai partiti politici in massima parte quelli che si dichiarano fuori dagli schemi tradizionali di identificazione (senza collocazione precisa) con l’88,6% delle risposte.Per il resto, si nota che a destra c’è una maggiore percentuale di iscritti (7,6%) ma non anche di militanti che invece parrebbero esserci con qualche presenza percentuale (in media il 7%) nei partiti di centro e di sinistra.

Così come  centro-destra e centro-sinistra, che non hanno strutture partitiche articolate né consolidate, possono contare più sulla mobilitazione occasionale che sull’iscrizione formale (10-12%).

Insomma è la conferma di una caduta verticale di legittimazione del sistema partitocratico, nonostante anche in questa analisi emerga la considerazione che i partiti, in fondo, detengono ancora le risorse strategiche del potere politico e per questo debbono essere considerasti come gli attori principali del sistema politico. Che è la ragione per cui anche la componente di donne in questo campione di indagine pensa che la politica delle pari opportunità, per esempio nel riequilibrio della rappresentanza femminile, passi necessariamente attraverso le “macchine” dei partiti.

Secondo indicatore tradizionale di partecipazione politica: adesione e/o attivismo nelle associazioni (non solo politiche in senso stretto, ma anche sindacali, sociali, culturali, ecc.). Più che di partecipazione politica, dovremmo in questo caso parlare di partecipazione civica, sul modello di quella descritta da Tocqueville ne La democrazia in America.

Ma anche in questa accezione minimalista, dal punto di vista politico, i risultati del questionario non sono affatto incoraggianti. Il 67% non partecipa e non è iscritto ad alcuna associazione. Di più le donne e i giovani, di più a destra che a sinistra ( se gli scarti di pochi decimi di punto hanno qualche significato sociologico in questo senso).

In conclusione di questa parte che ha riguardato aspetti salienti della politica in ambito locale, possiamo dire che questa risulta senza dubbio più moderna, più consapevole, più matura rispetto al passato, ma quasi per paradosso, meno politicizzata ovvero meno carica di valenze e distorsioni ideologiche, e a questo risultato ha contribuito in modo decisivo un certo processo di “femminilizzazione” strisciante, che significa di maggior peso della presenza e dell’influenza di ruoli, modi e posti femminili sui posti di gestione politica e amministrativa dei sistemi locali. D’altra parte, la politica in questo senso “depoliticizzata” dalle forme tradizionali- partiti, associazionismo, persino partecipazione elettorale- non è di per sé il sintomo di un processo di delegittimazione democratica. Volgere la politica ai significati più empirici di gestione razionale della cosa pubblica e in genere di strategia adatta a risolvere i problemi della vita quotidiana, senza troppe indulgenze verso le ideologie, può essere un bene e non un male per le democrazie, soprattutto nelle piccole dimensioni.